CAPITOLO IV.
Applicazioni letterarie.
Chi credesse un inutile passatempo erudito questa ricerca dell'anomalie psichiche del Manzoni, se ne dissuaderà subito quando pensi che essa illumina molta parte della sua opera letteraria e filosofica: la improvvisa e temporanea decadenza all'epoca degl'inni sacri e la loro origine, la contraddizione filosofica di metà della sua vita, i frequenti bisticci, i paradossi così discordanti col fine buon senso che domina in tutti i suoi libri; essa ci dà anche la chiave di certe note che vi predominano: la strana frequenza, in ispecie, delle allusioni a quella che fu uno dei sentimenti più intensi in lui - la paura.
Il Puccini (Il romanzo psicologico, 1856) ed il Graf nel mirabile studio Foscolo, Manzoni, e Leopardi, 1898, ebbero a dire che un esempio delle sue smanie paurose "lo lasciò egli stesso nei Promessi Sposi, quando descrisse lo spavento di Renzo, solo, nel bosco..., le ansie di Lucia..., il terrore dello stesso Innominato e di Don Abbondio. E l'eruditissimo Bellezza, che nella citata opera ne dà sette pagine intere di prove, ricorda non esservi vizio o virtù, passione o sentimento che abbia parte più larga o più importante nell'opera manzoniana, della paura: non essere quasi personaggio nel romanzo, che non ne sia preso, un momento o l'altro (op. cit.).
Sfuggito all'unghie della giustizia, Renzo si sente addosso "quella paura di dar sospetto cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pensieri". S'inoltra poi nel bosco "pieno di fantasie, di brutte apprensioni", che diventano ben presto "terrore"; e nell'altra sua gita a Milano un monatto gli grida: "hai avuto una bella paura" (Bellezza).
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