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      E noi sappiamo che è questo un carattere dei degenerati (Vedi: L'Uomo Delinquente, VI ed. Vol. 1.).
      Della grande sua surrecitazione sono prova le veglie quasi continue che sofferse dai sette ai dodici anni, l'algore delle estremità, quando si poneva a letto, l'impotenza che durò fino a 34 anni, e quell'eccessiva sensibilità che unita alle sue cognizioni mediche (sì dannose agli ipocondriaci), faceva in guisa, che non vi era morbo ch'ei non avesse sofferto, nè istante in cui non credesse soffrirne. Tunc maxime sanum me existimo cum raucedine laboro; nam cum ad ventriculum defluit fluxus ventris, abominationem cibi efficit, nec semel credidi veneno me tentatum, e postridie salvus eram.
      Ne è una bellissima prova quel singolare piacere che ei dichiarava di provare nel comprimersi i muscoli brachiali e mordersi le labbra fino alle lagrime, nè tanto per la voluttà leggerissima del contrasto lasciato dal dolore, a tutti comune, quanto per il bisogno non mai saziato di energiche sensazioni. "Cause di dolore, - ei dice nella propria vita, - se non ne aveva, ne cercava, per godere del piacere della cessazione del duolo, e perchè io esperimentai che non posso far senza di dolore, e se mai mi capitasse (modo contingat) mi assalta l'animo un impeto sì molesto e sì grave, che molto meno è il dolore che la cagione di dolore". Non può dare questo brano curioso la spiegazione di quel fenomeno, che appare anche in alienati non stupidi o idioti, del ricercar essi più che fuggire le abbruciature, i geli, le ferite, le contusioni, quasi che nello stato patologico particolare del sistema nervoso sieno quelle sensazioni dilettose piuttosto che atroci?


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Nuovi studi sul Genio.
Parte I (da Colombo a Manzoni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1901 pagine 187

   





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