Con che sprezzatura egli affetta di non invidiare a Dante il plauso dei tavernieri e dei lanaiuoli, egli corteggiato ed ammirato dai principi e dalle dame! In quell'espressione è tutta la vanità, tutto il piccolo orgoglio dell'anima sua, troppo debole, troppo malata perchè potesse concepire un forte odio. Non è anomalia psichica ancor questa?
si chiede l'egregio biografo.
Poca affettività. - "Era affezionato agli estranei, ma assai poco ai suoi. Che facesse del figliuol suo Giovanni, richiamato da Verona, non si sa; ma contento di lui non era, giacchè appunto in quell'anno '57 al suo Guido Settimo scriveva amare parole sulla riluttanza del giovane alle fatiche dello studio; lo mandò poi ad Avignone, e di là il suo Lelio gli riscriveva lodandosene di molto "per il pudore, la modestia e la promettente indole giovanile". Egli poi lo richiamò; e nel '59 Giovanni doveva essere a Milano, se del furto che patì in sua casa mentre villeggiava a Linterno, il padre suo potè incolpare lui appunto, scacciandolo di casa e lasciandone poco edificante ricordo alla posterità. Anche nei momenti che lo rimpiange morto, non mostra alcun affetto, così:
Il mio Giovanni, nato a mio peso e dolore, e che vivendo mi diede gravi e continui fastidi, e morendo mi recò aspro cordoglio, dopo aver veduti in sua vita pochi giorni felici, morì nell'età di anni 24
. Così registrò il suo lutto il poeta. Con l'amico Simonide si lagnò poi ch'egli morisse proprio quando "accennava a diventar migliore", e scrivendo a Guglielmo da Pastrengo, lodava Iddio d'essere stato "liberato da un lungo travaglio, non senza grave dolore".
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