... La moglie e i dolori sofferti a cagione dei figli gl'incrudirono il sangue per modo, che l'erpete gli guastò tutto il corpo; le infermità fisiche tornando, come sogliono, ad agir sopra lo spirito, terminarono di guastare una delle più belle indoli che uscirono di mano alla natura. Io lo conobbi liberalissimo del suo, poi diventò avaro; l'ho veduto animoso, e in processo di tempo tutto sconfortato; operoso, gagliardo, quindi languido, inerte passare giorni e giorni in letto senza voglia di nulla". Nella memoria al Mazzini, invece, quella che qui è data come malattia dell'età avanzata, si riferisce anche agli anni più giovani, prima che cause esterne intervenissero a determinarne lo sviluppo. "Fin dai primi anni mio padre si mostrò taciturno e mesto, malinconia che di mano in mano crebbe in cupezza; costumò tenere stanza appartata dalla famiglia e quivi stette solo intere giornate; silenzioso durò con noi perfino un mese, e i nostri pranzi spesso si assomigliavano a quelli dei cenobiti. Solo che il padre mio sollevasse le ciglia, ogni giovanile gaiezza vedevi andare in bando". Per altro, sia che si accolga la versione delle memorie, sia quella delle note autobiografiche, l'eredità paterna si manifesta chiaramente per questo riguardo in Francesco Donato.
In lui inoltre si dimostra una grande tendenza p. es. al classicismo e a quella impulsività che nel figlio poi chiaramente sale all'accesso epilettico.
Ai figli "quasi ad ogni istante rampognava: Pompeo avrebbe fatto in tale e in tale altra maniera". Della virtù romanamente severa era così fervido seguace, che non volle per il figlio accettare l'eredità di una ricca zia, per quanto pregatone insistentemente: "perchè, disse, ho letto una volta che ricchezza fa ignoranza, ignoranza fa prosunzione, prosunzione ozio, ozio miseria". Quando accompagnò il figlio all'Università, se ne partì senza baci e senza lacrime, chè siffatte cose non sapeva neppure dove stessero di casa.
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