Meglio così."
Al Bertani da Firenze (dic. 49): "Ti ripeto che ho cessato di scrivere: così doveva essere: la mente e la mano stanche cadono sopra le pagine."
Alla Colonna (genn. 52): "A scrivere duro immensa fatica."
Al Bertagni (febbr. 53): "Le scrivo senza saper che sono per dirle: non sono afflitto; questo verrà più tardi: ora mi sento stupidito, mi pare aver ricevuto una percossa sul capo, che m'abbia tolto perfino la facoltà di pensare."
Al Cadetti nel dic. 55: "Mi sento men destro"; - e nel maggio 56: "la mente comincia a infiacchire, poca messe può trarsi da un cervello spossato."
Al Mancini nel dic.(56) 57: "Mi affatico, mi stordisco... mi sento stracco, rifinito"; - e nel luglio 59: "Mi sono affaticato troppo, ed ora tra fatica e dolore giaccio infermo in letto".
Delirio melanconico. - Ma assai prima dell'esaurimento si infervorava in lui il delirio melanconico ereditario; tolgo dalle Memorie al Mazzini: "Rimasto solo (all'Università di Pisa), m'invase l'umor nero, infermità di famiglia...;" e più oltre: "Somma dell'Università di Pisa: fastidio degli uomini e della vita, tristezza crescente". Da una lettera, ivi riportata, direttagli dal Rini: "Come vivi, Francesco? Ti rode sempre quell'ansia misteriosa di cui non seppi, e non osai mai penetrare la causa? E ti cavalca sempre lo spirito un diavolo nero, onde così per tempo s'inaridisce la giovanezza dell'anima tua?" E ancora: "A me il destino disse: soffri, combatti e muori.... ormai già in questa vita io non aspetto più".
Di questo delirio melanconico e di disperazione, attestato anche dal Giusti, prove ed espressioni continue ritroviamo anche nell'epistolario: Al Puccini da Montecatini (1844): "Valgami presso voi di scusa il sentirmi io di pessima voglia.
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