Ma dove sopra tutto spicca il delirio di grandezza è nella smania di apparire un grande perseguitato dalla sorte e dagli uomini. Certamente la sua vita non fu seminata di rose, e lungo il cammino più di una volta i suoi piedi ebbero a sentire la puntura avvelenata dell'odio: ma egli di queste sventure, di questi dolori quasi si compiace, perchè gli giovano a esaltare la sua figura, e per meglio riuscire nel suo intento cerca esagerare le sue ammarezze, cerca farle apparire inaudite, superiori a quanto l'esperienza universale possa attestare, a quanto mente possa immaginare. La persecuzione della sorte e l'odio degli uomini si appunta e si accanisce su di lui per il suo ingegno, che d'ogni intorno gli procura l'isolamento e l'invidia feroce.
Al Poli da Portoferraio scrive nel nov. 33: "Tra tutte le superiorità quella che gli uomini perdonano meno è l'ingegno....
Non vo' perciò che ai tuoi nemici invidieposciachè s'infutura la tua vita
via più là che il punir di lor perfidie....
cantava Dante sventurato e ramingo; ma datemi la speranza di un sepolcro in S. Croce, e soffrirò volentieri infortuni un milione di volte più miserabili dei suoi."
Al fratello Temistocle (apr. 43): "I miei amici! Io non ho amici; io ho gente che mi odia, ho gente che ha bisogno di me, ma nessuno mi ama."
Al Guigoni nel 48: "Ho la vita minacciata di minuto in minuto da due giorni a questa parte."
Al Mangini nel 50:... "Lasciare ai miei persecutori il legato che si meritano, sanguine sitisti, et hic est sanguis.
Al Massei (luglio 53): "Il corpo già scosso da urti nuovi e perigliosi, a tanta dimostrazione di odio (la condanna) temo non regga.
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