Vi è un passo nelle Memorie al Mazzini, nel quale egli, descrivendo la sua tempra morale ed intelletuale, fa in poche parole una descrizione e un'analisi del suo stile e delle sue opere, quale difficilmente potrebbe darsi, così in breve, più esatta e completa: "uno impasto di appassionato e di sarcastico, di fidente e di scettico, di dommatico e di analitico, di pauroso e di intrepido, di lusso orientale d'imagini, e di formole severe, di raziocinio, di esitanza e d'impeto, di scoraggiamento e di forza convulsa, e di altre moltissime qualità non contrarianti ma in antitesi fra loro, che hanno colorato i fantasmi usciti dal mio cervello".
Mi si permettano ancora alcune brevi citazioni: il giudizio del Giusti sull'Assedio di Firenze: "Il sarcasmo amaro e feroce, il dolore disperato e convulso d'uno che ha perduto la fede di tutti e di tutto, hanno dettato quel libro; va a sbalzi come il polso d'un febbricitante e finisce per bottate rotte e scomposte. Quel libro ti dice l'uomo". Egli stesso scrive a proposito della Beatrice Cenci: Al Massei da Bastia (giugno 54): "La Cenci fu scritta in carcere tra la rabbia, l'ira, l'ansietà, il tedio, con la febbre continua addosso, in mezzo a tale commozione di nervi, che finì con tre colpi di epilessia". E nel luglio: "La Cenci fu composta fra inenarrabili passioni e angosce mortali, e, fuori di figura rettorica, qualche volta scritta con mano agonizzante: la mente delirava e la mia intelligenza era sbattuta fra quel mare di affanno come un annegato".
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