Cola. - In queste condizioni, Cola, un giovinetto nato nel rione del Tevere nel 1313 da un taverniere e da una lavandaia od acquaiola, fattosi, da mezzo contadino che era, da sè, archeologo, notaio, si vide ucciso il fratello da quei miserabili che erano al governo, o meglio, allo sgoverno di Roma.
Allora egli, che, come dice l'Anonimo storico, avea nella bocca sempre un riso fantastico, e già, meditando sui libri antichi e sui monumenti eloquenti di Roma, aveva pianto sulle sue miserie e spesso esclamato con quel suo strano sorriso: "Dove sono i buoni Romani dei vecchi tempi? Dove è la loro giustizia?", fu preso da un'irresistibile fantasia, come confessò poi (Lettera a Carlo IV, documento 33 nel Papencordt), di intraprendere coll'opera ciò che aveva imparato prima leggendo.
Come notaio si dà a proteggere i pupilli e le vedove, e assume il curioso titolo di loro Console, così come si davano a' suoi tempi i Consoli dei falegnami, dei lanaioli, ecc.
E però, notisi, usava una penna d'argento, dicendo che tale era la nobiltà del suo ufficio da dovervisi adoperare solo quel metallo il che - a chi ben consideri, tradisce quella doppia passione dei simboli e del lusso, che poi tanto in lui giganteggiò - essendo chiaro che quell'ufficio si può esercitare nobilmente anche con una penna..... d'oca.
Nel 1343, in una delle molte rivoluzioncelle che eran abituali a quell'epoca, la plebe avea tentato abbattere il Senato, creando il Governo dei tredici sotto l'autorità papale.
In quella occasione il Cola fu mandato ad Avignone come oratore del popolo, e là vivamente dipinse le tristezze di Roma, e colla franca e potente eloquenza colpiva e seduceva i freddi prelati, da cui ottenne la nomina di notaio della Camera Urbana (1344).
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