Fece anche di più. Immaginò, egli, primo, quanto nemmeno Dante aveva pensato: un'Italia che non fosse Guelfa, nè Ghibellina, con a capo il Comune di Roma, in cui, primo, in Italia, come il contemporaneo Marcel a Parigi, tentò di radunare (e non fu compreso che da 35 Comuni), un vero Parlamento nazionale (10).
Trasportato, infine, in Avignone seppe compiere la impresa che io credo maggiore di tutte l'altre; farsi, dopo tante opere e parole nemiche alla Corte papale, perdonare da coloro che non perdonano mai, i preti, e preti di quel secolo feroce ed implacabile, e farsi rimandare, benchè per poco, e benchè in posizione subalterna, ad un posto che avrebbe dovuto essere per essi la maggiore delle minacce (11).
Pazzia. - Ma tutti questi miracoli, ahimè! non durarono che pochi giorni; egli che nei concetti politici superò non solo i contemporanei, ma persino molti moderni, e prevenne nell'idea unitaria Mazzini e Cavour, era certamente un monomaniaco. Come, infatti concordano gli storici Re e Papencordt, se era grande nei concetti, era incerto e nullo nelle cose pratiche. Ben il mostrò, per esempio, quando avendo avuto in mano il suo nemico più grande, il prefetto di Vico, lasciavalo andare tenendone in ostaggio il figliuolo; e quando non approfitta della vittoria insperata sui Baroni.
Incapace, sempre, di prendere una risoluzione che non fosse teorica, credeva operare tutto in grazia dello Spirito Santo (Papencordt), con cui abbiamo veduto dar inizio alle sue imprese.
Confermossi vieppiù nella sua follia per una eresia sorta in quei giorni, secondo cui lo Spirito Santo dovea rigenerare il mondo, e sopratutto dal fatto, molto innocente per sè, che una colomba discese mentre egli mostrava al popolo uno dei suoi quadri allegorici.
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