S'aggiunga, lo stile, il volume esagerato, irto da poscritti più lunghi del testo, la firma singolare così ricca di titoli laudatori quale solo era usata dai principi orientali ed africani.
E veramente quelle sue lettere hanno un sapore loro proprio, una vivacità che usciva dal compassato classicismo preso a modello, un'esuberante confidenza che obbligava a prestar, sulle prime, fede alle bugie di cui formicolavano: e pare, anzi, che, come accade a certi matti ed a certi impenitenti bugiardi, egli finisse per credere egli stesso alle menzogne che vi dettava.
Lasciando stare i motti spropositi strani in un dotto latinista (15) e l'abbondanza che abbiamo accennato e che è un carattere morboso, e tanto più in un uomo di Stato di quei tempi, per cui il silenzio era più aureo che non ai nostri, necessario anzi, grazie alla generale incoltura, un fatto mi ha colpito: il giuoco continuo delle omofonie, o, per dirlo con un motto moderno, il pompierismo, che è uno dei segni della massima leggerezza umana, e che certo non era uno dei caratteri della diplomazia di quei tempi.
Qual è l'uomo assennato che anche in pieno Medio Evo scriverebbe come fa egli a papa Clemente nella lettera del 5 agosto 1347: "Avendo la grazia dello Spirito Santo liberata la repubblica sotto il mio regime, ed essendo stata nei primi di agosto promossa la mia umile persona alla milizia, mi si attribuisce come nella sottoscrizione il nome ed il titolo di Augusto.
Dato come sopra il 5 agosto.
Umile Creatura
Candidato dello Spirito Santo, Nicolò Severo e Clemente, Liberatore della Città, Zelante d'Italia, Amante del Mondo che bacia i piedi dei beati".
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