E notisi che, dopo tanto di firma, segue ancora la lettera per ben tre altre pagine, con argomenti ben più serii di questi e che egli aveva posposto a quella pompierata sull'agosto.
Ed, a questo proposito, un documento chiaro della sua pazzia è la lettera che scrisse, nell'ebbrezza della vittoria sui baroni, a Rinaldo degli Orsini, notaio del papa (Hoxemio, III, 35). Senza fermarci alla indelicatezza, ben poco diplomatica, di che dà prova nel citargli fra i traditori, due suoi congiunti, Rainaldo e Giordano degli Orsini, e senza fermarci alla strana dimestichezza con Dio, che mostra quanto scrive: che Dio formò alla guerra quelle dita che l'arte aveva istruito alla penna, mentre, in fondo, egli non ebbe nessuna arte di guerra; giova notare come, lì, fra le più gravi accuse contro i Colonna, annoveri che essi abbiano saccheggiato una chiesa dove egli aveva deposto la sua corona d'oro. Più strana è questa pretesa alla profezia spedita ai preti, che di tali ubbie sono più scettici, come quelli che ne fanno mercato. "Non dobbiamo, aggiunge poi, dimenticare di dirvi che due giorni prima di questi avvenimenti ebbimo la visione di papa Bonifazio, che ci predisse il trionfo su quei tiranni; noi ne femmo rapporto in pieno Parlamento ed in presenza dei Romani riuniti, ed andammo in S. Pietro all'altare di Bonifazio e gli offrimmo un calice ed un velo.
La visione, infine, grazie al Cielo, si è effettuata, grazie all'aiuto del Beato Martino, suo Tribuno (e qui dimentica che due pagine prima aveva, nella stessa epistola, attribuito le vittorie a S. Lorenzo ed a S. Stefano).
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