.... il torto di non essersi lasciato uccidere.
Ora questo che parve un nuovo ed ingiusto martirio, e non era che l'effetto delle solite incertezze poliziesche e giudiziarie, ed il pericolo corso per una causa apparentemente pubblica ed il coraggio di cui diede continua prova, nei suoi attacchi ed in quei frangenti, gli guadagnarono i suffragi popolari e quindi la sua elezione a deputato.
Ma ciò che sarebbe parso a chiunque il segno massimo del suo successo, fu il principio della sua caduta.
Egli, audace, onesto, ma incolto, si trovò nel Parlamento come Mefistofele nel regno d'Elena, peggio anzi, perchè lì era lui che si trovava a disagio, mentre gli altri lo accoglievano con rispetto e tolleranza; mentre qui egli, sulle prime, non s'accorgeva o non pareva accorgersi della generale disistima e dell'insuccesso che lo aspettava anche quando aveva dalla sua la ragione, come allora che, con uno scambietto parlamentare, si fece sottostare una sua interpellanza ad un'altra che era sôrta dopo.
E qui mi si permetta soggiungere che per quanto sia triste ed uggioso il sentire la voce di volgari mattoidi in quelle nobili aule dove aleggia ancora lo spirito di Cavour e di Garibaldi e dove, or non è molto, parlarono Sella, Fabrizi, Spaventa, pure è in disarmonia alla tempra di un vero regime democratico, rappresentativo, come vorrebbe essere il nostro, il non permettere a costoro di esprimersi nel solo linguaggio che essi posseggono.
Oh! per Dio, non estendetelo il suffragio così come avete voluto farlo, Dio sa con quali risultati per la libertà del paese! ma, una volta che l'avete esteso, subitene, sino all'ultimo, le conseguenze, lasciando libera affatto la parola a quegli eletti che corrispondono, nei modi come nelle idee, agli elettori da voi decretati e voluti.
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