È allora che gli si acuisce il delirio persecutorio per cui egli perseguita gli altri, mentre, e perchè se ne crede perseguitato: delirio che, come è il solito caso in costoro, egli rivolge contro a coloro che sono al potere, salvo ad adularli e lodarli quando ne siano caduti, quando ne abbia bisogno o quando sia cessata l'acuzie del male; con che si spiegano le vilissime lettere adulatorie a quelli che prima insultava, e le sue proteste di non aver inteso far ricatti ed insulti, e il suo metodo di scrivere un articolo d'elogio sopra un personaggio e mandargli poco dopo una lettera impertinente (Deposiz. Panizza).
Fu in uno di questi momenti, certo, che un giorno dicesi siasi mostrato nudo innanzi ad alcuni scolari, e che baciò pubblicamente sulla via una vecchia che non lo conosceva affatto, gridando: "Lo dovevo, lo dovevo, perchè assomiglia alla madre!".
In carcere, ogni tanti giorni, esciva in violentissime invettive contro il Re, contro i magistrati ed i colleghi, e poi, calmo, si meravigliava di esserne incolpato e lo negava recisamente e con perfetta sincerità.
Questa sua tendenza veramente epilettoide ed impulsiva si travede nella prima sua lettera minatoria diretta all'On. Baccelli, nella quale afferma che, prima di buttarsi nel Tevere, vuol dare un esempio all'Italia. "Non uso a mentire, prosegue, sento una VERTIGINE che mi spinge a spezzarmi contro Baccelli".
Fra le lettere dirette a quell'egregio Ministro, ve n'ha una che comincia così:
Signor Baccelli, ladro, la prego di ordinare il pagamento a me di lire 300, ecc.
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