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      Quasi mai lo coglie il dubbio di essere in preda all'errore. In un suo libro dichiara: "che il fingersi profeta per persuadere altrui sarebbe lo stesso come far Dio impostore. E non potrebbe essere (continua ad obbiettarsi) che tu ingannassi te stesso? No, risponde; io adoro Dio, cerco imitarne le vestigia, non può essere che Dio mi inganni" (De veritate prophetica, 1697). Eppure, con quella contraddizione propria degli alienati, poco tempo prima aveva scritto: "Io non sono profeta nè figlio di profeta, e sono i vostri peccati che mi fanno per forza profeta". Infine in una pagina detta: "che il suo lume è indipendente dalla grazia"; mentre poco prima in un'altra aveva dichiarato: "che era una medesima cosa".
      Il Villari giustamente nota: "questa essere la singolarità del suo carattere; il vedere un uomo, che aveva dato a Firenze la miglior forma di repubblica, che dominava un intero popolo, che empieva il mondo della sua eloquenza e che era stato il più grande filosofo, inorgoglirsi perchè sentiva per aria delle voci, e vedeva la spada del Signore!!
      Ma, come bene egli conclude, la puerilità stessa delle sue visioni ci prova che egli era vittima di una allucinazione; e lo prova ancor più l'inutilità, anzi il danno che a lui ne veniva.
      Qual bisogno aveva, per ingannare le plebi, di scrivere trattati sulle visioni, di parlarne alla madre, di discuterne sui margini delle sue Bibbie?
      Quelle cose che i suoi ammiratori più avrebbero voluto nascoste, quelle che l'accortezza più semplice non avrebbe mai lasciate alla stampa, quelle, egli continuava a pubblicare e ripubblicare.


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Tre tribuni studiati da un alienista
di Cesare Lombroso
Fratelli Bocca Editori
1887 pagine 171

   





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