II, p. 559); o al Gaucho, di cui Mac Coll notò l'incapacità a lavori duri, aggiungendo però: "metteteli in sella a un cavallo e la loro resistenza alla fatica sarà senza limiti" (Ferrero, o. c.).
Noi abbiamo visto più sopra (Vol. I) che il ladro chiama sè il pegre, il pigro: che nella vita dei più grandi criminali Lacenaire, Lemaire, Chretien, l'orrore del lavoro era maggiore dell'amore alla vita.
Più analiticamente si può studiare questo stato d'anima nelle tavole psicologiche comprese nell'atlante antropologico-statistico dell'Omicidio di E. Ferri, dove la psicologia dell'ozio è spesso accennata. Un omicida recidivo (n. 37) alla domanda "lavorate?" risponde "no, perchè il lavoro raccorcia la vita". Il n. 46 spiega i suoi delitti dicendo: "cosa vuole? voglia di lavorare, poca". Il n. 432 più francamente confessa: "lavoravo, ma poco, perchè si fa fatica a lavorare". Il 467, domandato perchè non lavori, si scusa dicendo: "non sono buono". Il 481: "voglia di lavorare non ce ne ho; dove devo prendere i denari se non li rubo?".
E Marro (Annali di Freniatria, vol. IV) giustamente notava: "Nei popoli non civilizzati si constata l'incapacità assoluta di ogni sforzo perseverante. Il lavoro continuato, duraturo, è la caratteristica dell'uomo civilizzato. Più viene egli a conservare la sua forza fisica, meglio sa renderla proficua colla sua intelligenza, e più sa egli adoperarla a benefizio comune suo e della società, meglio si accosta alla perfezione.
Ogni progresso nell'istruzione, nella educazione, nelle leggi, nelle misure igieniche, mira a guidare l'uomo in questa direzione.
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