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      Recentemente, in Sicilia, la reazione borbonica si serviva della mafia, come i rivoluzionari tentarono servirsi della camorra.
      In tutte le rivoluzioni di Palermo, scrive Tommasi-Crudeli, una parte rilevante è stata rappresentata dalla gente manesca e facinorosa, spintavi dall'odio ai dominanti, ma più ancora dai suoi istinti anarchici, e dall'idea che libertà significasse cessazione dell'impero della legge.
      Nè il loro concorso era rifiutato dagli onesti, tanto più che l'entusiasmo generale conteneva i pravi istinti di quella gente ed eccitava i più nobili, che, in uomini d'una razza così fiera come la siciliana, non periscono mai. Ma poi la bestia si mostrava. Aprivano le prigioni, e coi carcerati si ingrossavano le squadre, si imponevano al governo, facendo più o meno prevalere una bestiale anarchia, di cui approfittava il Borbone, come avvenne nel 1820, nel 1849. Nel 1860 avvenne pure egualmente, e la mafia, sollevatasi con Garibaldi, formò squadre, aprì le prigioni, passeggiò armata, e compì efferate vendette per entro Palermo. Ma il prestigio di Garibaldi fu più forte di essa, e furono disciolti. Tentava poco dopo, gittarsi al partito d'azione, ma ne venne respinta, e nel 1866 essa compare armata, e domina per sette giorni in Palermo, come reazionaria, in occasione dell'abolizione delle corporazioni religiose
      (Op. cit.).
      I camorristi nel 1860 salvarono Napoli dal saccheggio; impedirono, quando furono trasformati da Liborio in poliziotti, i piccoli delitti, assai più che l'antica sbirraglia borbonica; ma a poco a poco divennero alla lor volta i soli malfattori; organizzarono il contrabbando per terra e per mare, sotto apposito capo; con un tributo ai camorristi, i carrettieri non pagavano più nulla ai gabellieri.


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L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia alla giurisprudenza ed alla psichiatria
(Cause e rimedi)
di Cesare Lombroso
Fratelli Bocca Editori Torino
1897 pagine 833

   





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