Carità. Beneficenza. - Però vi è ancora oggidì un grado di miseria che non può attendere l'opera lenta della cooperazione, del collettivismo e delle misure dello stato, che per quanto solleciti giungerebbero solo a coronare un cadavere.
Così da un'inchiesta aperta e verificata sul sito dalle mie figliuole mi risulta che sopra un centinaio di famiglie operaie le quali sono pure tutte occupate in Torino, ben 50% sono sempre caricate di debiti, e il 25% sono iscritte alla beneficenza parrocchiale, senza la quale sarebbero esposte addirittura a morire di fame.
Qui vuolsi, finchè la civiltà l'abbia reso superfluo, quell'ausilio della carità che era una volta il solo soccorso contro la miseria e ne resta ancora il più immediato e quindi il più indispensabile.
Solo ora noi dobbiamo volere che anche la carità si spogli dell'antica corteccia conventuale e fratesca e spiri le nuove aure, modellandosi, mano a mano che i tempi procedono, sulle orme della trasformazione economica, della previdenza cioè, della cooperazione e infine del collettivismo.
In ciò eccellono le nazioni anglosassoni e quelle in cui le religioni protestanti, calviniste, ecc. volgarizzarono la carità facendo accomunare al prete, che ne aveva un rispettabile e santo, ma circoscritto monopolio, il cuore del pubblico, il cui fanatismo religioso trova sfogo nelle più sbrigliate, ma feconde fantasie, che giungono a toccare i lati più lontani e più remoti del bisogno, armonizzando così la carità antica colle norme più moderne dell'economia.
| |
Torino
|