Il guaio è che questo
buon detenuto" secondo la formula, non tarda molto, sotto questo regime, a divenire così incapace di resistere ai compagni, delinquenti-nati o malfattori di professione, ed ai sorveglianti, è così poco refrattario alle eccitazioni malsane, all'adescamento di un lucro illecito, all'attrazione dei cattivi esempi, alla disciplina, da essere peggiore dei "cattivi".
La sola emulazione che gli resta è per il delitto e per la perversità, frutto della mutua speciale educazione alla quale si sottomette. Non è senza motivo che in gergo il carcere si chiama
il collegio".
A ciò aggiungete la monomania della delazione, lo spirito litigioso e menzognero e tutti gli altri vizi speciali che si contraggono o si sviluppano in prigione.
Infatti, è bene notare che non vi è una sola delle passioni dell'uomo, naturale o fittizia, dall'ubbriachezza all'amore, che non possa trovare anche sotto i chiavistelli almeno un sembiante di soddisfacimento.
In presenza della solitudine e del gretto formalismo della prigione, scrive Prins, il direttore delle carceri belghe, noi dobbiamo domandarci se l'uomo delle classi inferiori può essere rigenerato unicamente colla solitudine e col formalismo.
L'isolamento volontario ah! certamente esso eleva l'anima del poeta che, stanco delle volgarità mondane, si rifugia nelle regioni dell'ideale. Ma la solitudine imposta al criminale qual altro effetto può produrre se non di abbandonarlo alla nullità dei suoi pensieri, ai suoi istinti inferiori e di abbassare ognor più il suo livello morale?
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Prins
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