Ebbene se egli era un reo d'impeto, non abitualmente dedito al male, non dovea condannarsi a tal pena.
Beccaria scrisse "che il far vedere agli uomini che si possano perdonare i delitti, o che la pena non ne è la necessaria conseguenza, è un fomentare la lusinga dell'impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate sieno piuttosto violenze della forza, che emanazioni della giustizia.... Siano dunque inesorabili le leggi, inesorabili gli esecutori di esse nei casi particolari, ma sia dolce, indulgente, umano, il legislatore(335).
Se il principe, continua egli, deve perdonare e la legge deve condannare, le leggi invece d'essere l'ostacolo innalzato dalla forza pubblica contro le violenze private, saranno dunque i lacci tesi dal tiranno contro quella porzione degli individui della società che non han saputo procurarsi il suo favore
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E Filangeri: "Noi diremo... che ogni grazia conceduta ad un delinquente è una derogazione della legge, che se la grazia è equa, la legge è cattiva, e se la legge è buona, la grazia è un attentato contro la legge; nella prima ipotesi bisogna abolire la legge e nella seconda la grazia"(336).
Noi aggiungeremo come ultima considerazione essere la grazia contraria allo spirito di eguaglianza che anima la società moderna; poichè quando essa, come è pur troppo spesso il caso, favorisce i ricchi, fa sospettare ai poveri che per essi non esista giustizia, e li spinge per reazione a nuovi reati, e così riesce una provocazione della pubblica morale e insieme una negazione dell'eguaglianza.
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Filangeri
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