Molti secoli fa l'avevano propalata Casaubono, quando scriveva: "L'uomo non pecca, ma è dominato in vari gradi", e S. Bernardo che dettava: "Chi è di noi, per quanto esperto, che possa distinguere nei suoi impulsi l'influenza del morsus serpentis da quella del morbus mentis". Ed altrove: "Il male è minore nel nostro cuore, incerto è se noi dobbiamo ascriverlo a noi o al nostro nemico; è difficile sapere quanto il cuore fa e quanto è obbligato a fare". Più ancora chiaramente la manifestò S. Agostino, quando scriveva che nemmeno gli angeli potrebbero fare che uno che vuole il male voglia il bene. E certo il più audace e il più caldo sostenitore di questa teorica è un fervido credente cattolico, e anzi sacerdote, e sacerdote tirolese, G. Ruf(354).
Indirettamente, poi, l'affermano anche i sostenitori dei sistemi più opposti ai nostri, chè quando vengano sul terreno dei fatti e perfino in quell'elastico delle definizioni contraddicono se stessi o i colleghi, o non riescono a concludere nulla.
Se si paragonano i vari tentativi dei codici, si vede, infatti, come mai riescisse al legista di fissare la teoria dell'irresponsabilità, di trovarne una definizione precisa. "Tutti convengono cosa sia mala o buona azione, ma è difficile, impossibile distinguere se l'azione prava fu commessa con piena o incompleta conoscenza del male" scrisse Mittermayer. Il May, nella sua Die Strafrecht Zurechn., 1851, scrive: "Non si ha ancora una conoscenza scientifica della responsabilità". E Mahring, Die Zukunft der peinlichen Rechtspflege, pag.
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