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      - Ma qual'è la nostra logica, la nostra sincerità, nelle questioni penali? - Noi, ora, quell'istinto primitivo non l'abbiamo perduto; quando giudichiamo il reo propendiamo, pur sempre, a misurare la pena alla stregua del ribrezzo e dello sdegno che ci desta il delitto; ma gridiamo contro, scandalezzati, a chi lo confessa; ed è ovvio sentire i rappresentanti della legge dimenticare le teorie astratte e chiedere, ad alta e chiara voce, la vendetta sociale, salvo a rinnegarla con santo orrore, quando dettano un libro di diritto penale o quando siedono legislatori. - E quale logica v'è mai nella teoria, per esempio, che pur si rimette in voga (Roeder, Garelli ed in parte Pessina)(360), la quale vuole fondare la pena sopra l'emenda, quando si sa benissimo che l'emenda è, sempre, o quasi sempre, eccezionale, e la recidiva è la regola, e che la carcere, benchè non solo non migliora, ma peggiora il reo, è una scuola del male? E poi come, con quella teorica, conciliare la punizione pei delitti politici e per quelli d'impeto o passione, seguiti quasi sempre da completo e subitaneo pentimento, e per quelli che commettono un reato per obbedire ad idea generosa, come quegli che derubò la zia per soddisfare verso un poveretto i debiti di questa? (Geyer, Rivista penale, Venezia, 1876).
      Oppenheim, dopo aver scritto che nessun delitto deve andar scompagnato da una punizione proporzionale, che la pena non solo deve essere un male, ma deve apparire tale, incappa a dire con Mohl e Thur: "La pena deve solo consistere nel miglioramento e nell'occupazione del reo". - Ma non vi è qui evidente contraddizione?


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L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia alla giurisprudenza ed alla psichiatria
(Cause e rimedi)
di Cesare Lombroso
Fratelli Bocca Editori Torino
1897 pagine 833

   





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