Ben dice Ferri(363): "È impossibile separare il delitto da colui che lo ha commesso, come è impossibile nella redazione di una legge penale, supporre (come si fa tuttavia) un tipo di uomo medio, che non si riscontra mai nella realtà in nessun imputato. Ora, come vanno le cose? Il giudice ha dinanzi a sè una bilancia: in una delle coppe egli mette il delitto, nell'altra la pena; egli esita allora - diminuisce qui, aggiunge là, dà all'uopo qualche colpo di pollice, cui si dà il nome di circostanze attenuanti; ed ecco più o meno misurata l'adattabilità sociale dell'individuo.
E la pena come sarà dosata? Si punirà, per esempio, il parricidio, il più terribile dei delitti, con la più terribile delle pene, la morte? Eh sì! La legge organizza questa rimembranza di ferocia! Essa stabilisce di fronte alla scala dei delitti quella delle pene, gli scalini si corrispondono più o meno, si spinge, si raschia - e si giudica senza alcuna preoccupazione psicologica o fisiologica.
Pronunziata la pena il giudice non si preoccupa se poco dopo quel condannato non gli tornerà dinanzi. Ma durante l'intervallo, che sa mai il giudice dell'esecuzione della pena? Che sa mai dell'effetto prodotto nel condannato dalla privazione della libertà? E per qual motivo colui che è emendato dopo 10 anni di prigione deve scontarne ancora altri 10, e qualche altro escire dopo 5 anni, mentre sarebbe utile che vi restasse ancora? - Il delitto è come una malattia, il rimedio deve essere appropriato all'infermo. È compito dell'antropologia criminale di fissare questa convenienza.
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Ferri
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