Basterà, dunque, che il Parlamento ed il Senato ogni 3 o 5 anni dichiarino, in sezioni riunite, che quel dato reato politico non sussiste più nell'opinione del pubblico da loro rappresentato perché cessi dall'essere tale: un esempio recente ne abbiamo nell'ateismo e nelle bestemmie, che un giorno si punivano come i reati più gravi e che ora non si potrebbe punire senza destare le risa. E così va intravvedendosi per la lesa Maestà, per gli scioperi e per i pretesi reati di pensiero socialista che solo un governo carico di delitti potè, non senza suo danno, incriminare.
Così procederemo a quei casi di ribellione che sono, come vedemmo (v. sopra), principio d'un'evoluzione; né questa idea è poi rivoluzionaria, o nuova, chè, sotto forma di ammonizione a Firenze, di ostracismo in Grecia, di petalismo in Sicilia, applicata in paesi e tempi diversi e sotto Governi veramente liberi.
La temporaneità dovrebbe essere piena ed assoluta per i reati politici puri, cioè per quelli ispirati dalla sola passione politica e scevri di criminalità.
Nei reati politici misti, invece, dovrà distinguersi il reato meramente politico dal comune: se il primo ha colpito la forma politica attuale, o le persone che l'incarnano, in quanto rappresentano un sistema politico, il reato comune, che fu mezzo a raggiungere questo scopo, non è per questo meno punibile; ed esso allarma la società di cui ferisce il sentimento morale.
In questo caso la pena si proporrebbe in una forma mista; fissa, cioè, per un dato numero d'anni, tale da corrispondere alla legittima reazione sociale, contro gli attentati alla vita od alla libertà dei cittadini; indeterminata per altra serie d'anni, perché sia dato modo di troncarla, quando l'offesa all'organizzazione politica non sia considerata più tale; tanto più che vi è in quei rei una dose di altruismo che li rende meno temibili e certo più degni di considerazione.
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