Ma se vi hanno, nelle lingue, delle naturalissime analogie, vi hanno poi anche delle differenze radicali, profonde, a chi ne indaghi l'indole essenziale.
Le lingue dei Siamesi e dei Chinesi mancano della b, d, v e della r; ogni parola vi si compone di una sillaba; ogni radice è impiegata come parola, una conserva la sua indipendenza, per cui quasi tutte le parole, se non avessero accenti variati, parrebbero uguali: per esempio in China tscheu significa barca, fiamma, freccia, bandiera, tessuto, pianta, pesce ed una razza di cavallo; perciò come nel parlare è indispensabile un vario accento, così nella scrittura si rende necessario un ajuto di segni pittorici (ideografici), perchè l'idea riesca accessibile a primo tratto al leggitore. Nel chinese mancano gli articoli, i generi, i numeri: insomma la così detta grammatica è abolita e sostituita da qualche particola e dalla sintassi, cioè dalla posizione di un dato vocabolo nella frase: per es. ngo ta no vuol dire: io mi batto; no ta ngo: io ti batto.
Singolari pure ci appajono quelle lingue turaniche od agglutinative che vengono parlate, con lessici diversi, ma con uguale struttura grammaticale, da una parte da molte popolazioni dell'Indostan, della Polinesia, dai Malesi e dai Siamesi, e dall'altra dai Mongoli, dai Finni, dai Turchi, dai Magiari venendo ai Samojedi, ai Tongusi, e forse ai Giapponesi. Mentre nelle nostre lingue i nomi e le forme grammaticali, una volta fissate, si sformano qualche volta, ma non si disperdono mai; invece in queste popolazioni in origine nomadi quasi tutte, divenute vagabonde esse pure, si cambiano completamente in breve. tempo, quando almeno la civiltà, avanzandosi poderosa, non ponga improviso ostacolo alle sue trasformazioni.
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