Nelle nostre lingue il verbo futuro era costruito con l'agglutinazione di andare, di avere, per es. conterò - contare-ho; con l'unico radicale yà, che in origine volea dire andare o mandare, dice Müller, in sanscrito si formarono i verbi denominativi, causativi, passivi, futuri e molti aggettivi: quelle che adesso diciamo terminazioni di casi, erano avverbj di luogo; quelle che chiamiamo terminazioni personali di verbo, erano pronomi (55).
La grande facilità di trasformarsi delle parole nel rapido e continuo uso, massime quando non sieno state fissate dalla scrittura e da una ricca letteratura, spiega l'immensa diversità delle favelle nei tempi antichi, e fra i selvaggi, che cambiano quasi di lingua in pochi anni e a pochi passi di distanza, e ci spiega le difficoltà di rintracciare le origini primitive, melaniche, nei nostri linguaggi.
Noi bianchi andiamo gloriosi per le idee astratte e per le parole che le esprimono. Ma, davanti alla analisi paziente del filologo, anche le più sublimi astrazioni scendono al livello del più grossolano sensismo africano. Wilson sospetta che il duale greco sia avanzo dell'epoca in cui il due era la espressione della cifra più elevata cui potesse l'uomo imaginare; il nostro cinque deriva da una parola sanscrita che vuol dire mano, proprio come il rima del polinesico; la forza è detta robur in latino dal rovere, come l'idea del futuro vi deriva dal futuo. Nel sanscrito, che tanto alcuni magnificano come il modello delle lingue dei Bianchi, noi ne potremmo cogliere a migliaja gli esempj, ma basti questo: i bovini furono certo gli animali che gli Arj domarono pe'i primi, e che loro prestarono i più grandi ajuti; la vacca in moto, la vacca che corre (gô-câra), come l'impressione sensoria che più dovea interessare l'avaro pastore, riuscì sinonima di forma, di suono, di quanto possono percepir i sensi; dal nome del toro e della vacca si onorano gli ottimi principi e le regine; e il nome della battaglia significa ricerca di vacche.
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Müller Bianchi Arj
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