V. Se il mondo grecoromano corruppesi per cagioni che aveva in sè stesso, era necessità che egli si trasformasse. Come gli eserciti che mantenevano la potenza di Roma, non erano più di Romani già infiacchiti e molli, ma si rifornivano e si rinsanguinavano di uomini barbari, i quali da prima ubbidirono, poi, appresa l’arte delle armi, comandarono e distrussero l’impero; così l’intelletto, forza dei Greci, non trovando nella vita intera di quel popolo un principio che potesse ricostituire l’antica armonia, lo ricercò nelle altre genti, e trovò un’idea nuova, la quale, perchè rozza, da prima fu disprezzata e sconosciuta, ma poi educata nelle arti e nel sapere dei Greci, e da essi spiegata e divulgata per ogni dove, ridusse ad unità i popoli e le nazioni tutte, e fece del genere umano una sola famiglia. I Greci che furono i primi e i più potenti edificatori del mondo intellettuale antico, furono anche i primi e i più potenti nel distruggerlo, come sentirono che quell’antico mondo non corrispondeva più ai bisogni della ragione; e si diedero a ricostituire il nuovo, nel quale posero tutta la forza del loro ingegno, tutta la ricchezza del loro sapere, e quanto dell’arte antica ancora rimaneva: sicchè il greco novello fu eloquente più di tutti gli altri, e teologizzò e chiacchierò anche troppo. Per questa idea l’impero greco sopravvisse al romano, come lo spirito alla materia, spirito guasto e degenerato sì, ma sempre spirito che per una nuova fede mandò un bagliore che pur fu luce; e fece conoscere al mondo ciò che v’era d’intellettuale e di vero nel Romano, le leggi, che egli raccolse e pregiò. Ma la trasformazione dell’antico doveva essere generale e profonda, perchè si mutava il pensiero dell’umanità, rinnovavasi il principio e l’anima del mondo: però sapere, arti, costumi, memorie, tutto doveva confondersi e mescolarsi, e in mezzo a questa confusione e rimescolio, e nelle tenebre d’una ignoranza feroce, sorgeva quest’idea ad irraggiare la civiltà nuova, e ringiovanire il genere umano.
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