Senatore santissimo fu Antonino, che pari a Numa onorò il trono dei Cesari con l’innocenza dei costumi, la bontà dell’animo, e la sapienza: fu religioso senza superstizione, diede onori, uffici e stipendi ai filosofi ed ai retori in tutte le province, usò del sommo potere come di cosa non sua, e solamente per far bene. Marco Aurelio, uomo di virtù più severa e faticosa, fu filosofo stoico, principe lodatissimo. Per gratitudine ad Adriano si associò all’impero Lucio Vero figliuolo di Elio, di costumi simile al padre: e fu maraviglia vedere un sapiente e un dissoluto insieme imperatori e concordi, perchè l’uno era indulgente, l’altro rispettoso. In quel tempo Vologeso re dei Parti rompe la guerra, della quale fa menzione Luciano nel libretto, Come si deve scrivere la storia. Lucio Vero va in Asia a combatterlo, e mentre tuffato nelle voluttuose delizie di Antiochia filosofava per lettere con Marco, che governava lo Stato, i suoi capitani guerreggiavano valorosamente: Stazio Prisco prendeva Artassata; Avidio Cassio e Marcio Vero vincevano in battaglia campale Vologeso, s’insignorivano di Seleucia, ardevano Babilonia e Ctesifonte, abbattevano la reggia dei re Parti, e in quattro anni sbaragliavano eserciti di quattrocentomila combattenti. Fra tante rovine surse terribile peste. Si conta che nei sotterranei del tempio d’Apollo in Babilonia fu preso dai soldati romani un forziere d’oro, donde uscì quella peste che distrusse gran parte dell’esercito e si sparse per tutto l’impero. L. Vero tornò in Roma con l’onore della vittoria, la peste, ed una più pestifera greggia di cortigiane e di uomini perduti.
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