Roma quanto maggiore delle altre città, tanto era peggiore. Le antiche case patrizie spiantate dagl’imperatori o imbastardite per adulterii forestieri: le genti nuove salite a subite ricchezze non per fatiche o industrie, ma per rapine o favori di principi, o accuse, o altre male arti: senatori e cavalieri perduti di lascivie, inetti alle armi, abiettissimi nell’adulare, ricordevoli d’esser romani solo nel morire. La plebe che sdegnava di lavorare, superbamente mendica, viveva delle quotidiane distribuzioni degl’imperatori che la pascevano, delle sportule dei patroni, del grano che le veniva d’Egitto: niente produceva, tutto consumava, occupata solo di sollazzi, non curante di ogni altra cosa. E plebe, e nobili, e imperatori, e liberi, e servi, e tutti parteggiare pei cocchieri nel circo, o pei pantomimi nei teatri, o feroci anche nelle mollezze, starsi a vedere accoltellare tra loro o con le bestie le centinaia e le migliaia di prigionieri di guerra: poi l’infame mestiere piacque a tutti, furono veduti senatori e donne discender nell’arena, e un principe che fu ghiotto di tutte le turpitudini, compiacersi di essere chiamato col nome di un famoso gladiatore.(2) Immenso numero di servi di tutte le nazioni cui era negato ogni diritto, e in cui si comportava ogni più sozzo vizio; liberti furbi, strumenti di tutte le volontà dei padroni, e spesso arbitri dello stato e dell’esercito: mimi, cocchieri, gladiatori, buffoni, ballerini che svergognavano sinanche il talamo imperiale, colluvie di tristi, schiuma di tutte le città, impostori, astrologi, fattucchieri, ruffiani, meretrici, bardassi, tutte le superstizioni e le lascivie, e quanto può corrompere ed essere corrotto si ragunava in quella cloaca massima di tutte le sozzure del mondo.
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Egitto Immenso
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