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Alessandria è dipinta dall’imperatore Adriano in una lettera a Serviano suo cognato, la quale è giunta sino a noi. «Qui ho trovata una gente leggiera, capricciosa, voltabile come il vento. Gli adoratori di Serapide sono cristiani, e quei che si dicon vescovi di Cristo adoran Serapide: i capi della Sinagoga, i Samaritani, i sacerdoti cristiani sono astrologi, aruspici, ciurmadori. Una parte del popolo costringe il patriarca dei Giudei ad adorar Cristo, un’altra ad incensar Serapide. È una gente nata per far sedizioni. La città di Alessandria poi è bella, industriosa, ricca, potente: nessuno vi sta in ozio: chi lavora il vetro, chi la carta, e parecchi anche la seta: tutti lavorano, anche i ciechi e i podagrosi, secondo le loro forze: tutti hanno un mestiero: cristiani e giudei riconoscono un solo dio, che è l’interesse. Peccato che una città sì bella non racchiuda abitanti migliori. Sono una gente ingratissima. Io ho dato loro quanti privilegi e grazie hanno voluto: ed essi, finchè io sono stato presente mi hanno profuse le più stemperate adulazioni: come sono partito, hanno insultato il mio diletto Vero, e diffamato Antonino. Non desidero a costoro altra pena, se non che sieno costretti dalla necessità a mangiare per solo cibo quei polli che essi fanno nascere dentro i letamai.»(4) Parecchi scrittori antichi ci dipingono l’indole del popolo Alessandrino, ma nessuno meglio di Adriano ritrae così schiettamente la natura di quella gente sediziosamente religiosa e insieme operosa, adulatrice, e beffarda.
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