Alessandria mandava a Roma i frumenti, le tele di lino, la carta del papiro, l’avorio dell’Etiopia, le perle del Mar rosso, i profumi dell’Arabia, la cannella ed i diamanti del Ceilan, le opere dei letterati, le facezie popolaresche, buffoni, bei garzoni, sacerdoti d’Iside e di Serapide, impostori, e indovini che Roma spesso cacciava e sempre riteneva. Città bella, capricciosa, voluttuosa come l’ultima Cleopatra che anche nel morire mostrò coraggio di regina, ed ingegnosa leggiadria di donna greca.
La moderna Europa ha qualche città più popolosa di Roma, molte più ricche, e quasi tutte piene di tanti agi e comodità che agli antichi parrebbero lusso insopportabile e mollezza; ma nessuna è corrotta quanto Roma, e quanto Antiochia ancora ed Alessandria; in nessuna si vede il vizio sì oscenamente sfacciato, e personificato in un imperatore come Caio o Nerone, o Commodo, o Eliogabalo. La cagione di questa differenza sta dentro, ed è l’idea che regge la vita moderna tanto diversa dall’idea che reggeva la vita antica.
XI. La corruzione dei costumi nei Greci e nei Romani aveva una fonte comune, la religione del politeismo. Il piacere è una gran verità della vita, e però la fantasia degli antichi ne fece un iddio, e la ragione lo pose a fondamento d’una filosofia: ma esso non è tutta la verità, e però nella religione, nella filosofia e quindi nel costume fu principio di molti errori, e di vizi, e di mali. Essendo indiato il piacere, fu cosa santa goderlo in ogni modo, e ciascun popolo ne godè secondo sua indole, gli Asiani con rilassatezza, i Greci con saccenteria, i Romani con violenza.
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