La più bella e compiuta rappresentazione della verità concreta fu la triplice rappresentazione dell’uomo greco. Nella sua prima rozzezza e robustezza eroica il Greco rappresentò sè stesso in Ercole, domatore di mostri e di ladroni, istitutore di giuochi, e ceppo degli Eraclidi che regnarono lungamente nel Peloponneso. Il greco artista è simboleggiato in Febo Apollo, bellissimo di persona e d’ingegno, poeta, musico, indovino, bravo in tutte le arti, savio in tutte le scienze, nato in Delo centro delle Cicladi, dimorante in Delfo, umbilico dell’Ellade, però tutto greco, con ire, amori, capricci, sventure che sogliono avere gli artisti. Fra questi due tipi, l’uno informe, l’altro perfetto, è il terzo più vero, il Greco nella vita reale rappresentato da Ermete, facondo, astuto, faccendiere, rimescolatore, veloce di piedi come di mente, inventore della lira, ladro, datore di guadagni, sì che la sua statua era innanzi ogni casa. Tutti e tre eran figliuoli di Giove: ma Ercole è semideo e soggiace alla morte, perchè la forza corporale perisce, e se ne serba memoria solamente quando è adoperata ad un fine di bene: Apollo ed Ermete, potenze della mente, sono dii immortali. Tutti e tre furono datori di civiltà agli uomini, ed istitutori della palestra,(5) istituzione civile e cara ai Greci, che abborrivano la guerra furiosa e sterminatrice, e dissero che Marte era tracio non greco. I Romani lo fecero padre di Romolo. La terra ove il Greco viveva, le rive della Sicilia e dell’estrema Italia, i monti dell’Ellade, le isole dell’Egeo, e i lidi dell’Asia furono la patria sua e de’ suoi numi: e non pure le città, ma i monti e i boschi e i fiumi e gli alberi erano sacri a qualche iddio, serbavano memorie di sventure, di amori, di gioie.
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