Ma in generale il politeismo, da ciò che in esso è invariabile, può dirsi la religione del pathos, cioè l’indiazione delle passioni, ed è proprio di tutti i popoli nella prima loro gioventù intellettuale. Gli è opposta la religione del logos, della ragione indiata, propria di quei popoli di cui la ragione è giunta a certa maturità. L’antico politeismo, sia della forma bella dei Greci, sia della forma politica dei Romani, e sia ancora delle forme rozze e selvagge dei barbari, doveva, dove più presto, dove più tardi, cedere alfine, perchè la ragione umana era cresciuta, le cognizioni dilargate, tutti i popoli del mondo s’incontravano, si mescolavano, discutevano. E questo cedere fu secondo che cede ogni opinione: della quale prima si dubita, poi non si crede, poi si sprezza, poi si beffa, poi si butta via, si muta, si dimentica. In Grecia, nutrice di tanti ingegni acuti e mirabili, si cominciò assai per tempo a ricercare la natura degli Dei. Certamente il concetto che i filosofi avevano della divinità era ben diverso dal concetto che ne aveva la moltitudine: e parecchi di essi, tra i quali Anassagora e Democrito, insegnarono dottrine non punto religiose, che per la loro forma scientifica rimasero tra le persone colte, e non si sparsero nel popolo. Nondimeno il popolo che amava tanto la sua libertà, e la gaiezza, e la piacevolezza, talvolta rideva anch’esso de’ suoi Dii come dei suoi magistrati, ma non andava più in là del riso, e stimava tirannide disfare questi, empietà negare quelli.
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