Quando appresero il sapere dei Greci, ne pregiarono solamente la parte morale e politica, tennero le scienze speculative come sconvenienti a senatori ed a Romani,(8) e le arti belle come puri ornamenti ed occupazioni geniali:(9) e quando, deposta la nativa ruvidezza, vollero anche essi trattar le arti, riuscirono imperfetti imitatori. Quei loro poeti ed istorici, e lo stesso loro magno Cicerone, che a noi paiono sì grandi, erano spregiati dai Greci, che neppure li nominarono mai: ed anche oggi chi ha molta pratica dei greci scrittori che ci rimangono, scorgendo dove e come furono imitati, non ha molta ammirazione pei romani: i quali eziandio non trovarono le arti e le scienze vive e giovani in un popolo libero, ma ormai invecchiate e cortigiane nella reggia di Alessandria; onde furono imitatori e di non ottimi esempi. Un solo scrittore originale a me pare che essi ebbero, e fu Tacito, povero di arte, ma ricchissimo di senno tutto romano.
XVIII. Il sapere dei Greci nei due suoi elementi del vero e del bello fu vasto assai: pure il suo carattere proprio non è la vastità, ma l’armonia di questi suoi elementi, la quale è appunto la sua perfezione. Quest’armonia era ancora tra tutto il sapere, e la sua principale forma, la lingua, che facile e melodiosa esprimeva mirabilmente tutti i moti e gli atteggiamenti del pensiero. Il sapere, come la luce, tende a diffondersi per ogni verso: ed il Greco sentì un certo istinto di portarlo in tutte le parti e di propagarlo con ogni mezzo. Infatti dal favoloso Giasone sino ad Alessandro, il Greco sente il bisogno di uscire del suo paese, lanciarsi sul mare, frugare in tutti i seni del Mediterraneo, fondare colonie su tutte le rive, dove s’accasa, e porta la religione, la lingua, i costumi, il governo, gli usi della sua patria, insegna a tutti e non impara da nessuno, si mescola con tutti e rimane sempre greco schietto.
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