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      I re Tolomei raccolgono in Alessandria gli studi, gl’ingegni, e le gentilezze: ma il Greco aveva perduta la sua personalità e si andava nell’umanità confondendo; però il sapere si era allontanato dalla vita reale ed era rimasto un’astrazione: la filosofia spaziava in ispeculazioni sterili e sottili, le arti non più creatrici e libere si affaticavano nella critica e nell’erudizione. Ora dobbiamo considerare a che stato era giunto nel secondo secolo lo scadimento della filosofia e delle arti.
      XIX. Nel mondo antico la filosofia, come scienza, fu solamente dei Greci; i quali avendola applicata al Cristianesimo, la insegnarono ai moderni popoli di Europa cominciando dall’osservazione della natura, vennero a discoprire il più segreto ed intricato lavorio dello spirito, e le leggi che lo governano, che pur sono quelle che governano l’universo: e riguardando la verità nei suoi diversi momenti, si divisero in sètte, ciascuna delle quali pretendeva di avere scoperta la verità, e di conoscerla pienamente, mentre non ne vedeva che un lato particolare. Da prima venerarono questa scienza con una specie di culto religioso, perchè ella era umanata ed incarnata in tutta la vita; e i filosofi scrivevano le leggi alle città, ne regolavano i consigli, ammaestravano e beneficavano le moltitudini ignoranti ed obbedienti: tali furono i Pitagorici in Italia, Licurgo a Sparta, Solone e Pittaco annoverati tra i sette savi. Ma le moltitudini quanto più s’istruivano, tanto meno avevano bisogno di maestri: altri uomini di conoscenze pratiche e speciali ne governavano la politica, ne difendevano la libertà, ne accrescevano le ricchezze, ne facevano ammirare la gloria: la scienza allora fu distinta dalle opere, rimase nella vita interna, nella vita morale ed intellettuale, e fu rispettata, perchè giovava ancora: se non che quando parve contrastare alla vita reale, destò lo sdegno della moltitudine che condannò a morte Socrate e Focione.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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