Terribili pittori son questi, cui mancò l’arte, non l’ingegno nè la materia. Lo sgomento sentito dai Romani in quel tempo, e manifestato dai pochi loro scrittori, non era nei Greci, che da più secoli avevano perduta la libertà e provati non minori mali, e allora vivevano nella muta stanchezza della servitù, contenti di nuovi dritti avuti dai Romani, delle antiche loro istituzioni municipali, e lontani dai furori delle belve imperatorie. I loro savi non potevano altro che raccogliere e serbare le gloriose memorie del passato, quasi a vergogna del presente, nel quale non trovavano nulla di bello e di grande da mostrare agli avvenire. Plutarco nella solitudine di Cheronea, sdegnando di vedere l’intelligenza soggetta ad una forza stolta e turpemente feroce, e sentendo che i Greci anche servi erano maggiori dei loro fortunati padroni, ardì di fare non una storia, ma un paragone fra i due popoli. I punti di questo grande paragone sono gli uomini illustri, che danno occasione a parlare di leggi, di religione, di arte militare, di politica, di eloquenza, e di tutta la civiltà dei due popoli più diffusamente che non si saria potuto in una storia: e perchè il paragone riuscisse più compiuto e più vero, discese a riferire la vita privata, i detti e i fatti dei grandi uomini, e così fece meglio conoscere essi e le loro nazioni. Opera bella e vasta, fatta da un uomo savio ed amabile, il cui concetto non poteva nascere se non quando fra i due popoli cominciava a disputarsi di quel primato, che indi a poco fu del popolo intelligente: e la forma, se non è della sobrietà e perfezione antica, è sempre greca e conveniente ai tempi.
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