L’eloquenza però era coltivata come utile e necessario strumento di vita civile; e si studiava negli antichi, e si cercava di accomodarla all’uso moderno. La lingua da Demostene a Luciano, cioè per cinque secoli, anzi fino a Libanio che visse due secoli dopo, non mutò grandemente, perchè i Greci insegnavano e non imparavano idee e parole: e la loro lingua sino ad un certo tempo seguì solamente le vicende del loro pensiero, non si corruppe per introduzione di elementi forestieri. Il sapere era nei costumi, che sopravvivono anche alla perdita della libertà: e però i Greci anche nella servitù ebbero una classe di uomini intelligenti e bene parlanti, i quali se non potevano discutere dei grandi interessi dello stato, che danno tanta altezza alla mente e tanta forza alla parola, avevano nondimeno ampia materia a ragionare degli interessi particolari di ciascuna città, e della filosofia, e delle arti, e delle scienze, e di ogni cosa che toccava la vita greca. Questi sofisti difendevano cause, discutevano di leggi, si mescolavano nelle pubbliche faccende, ragionavano di filosofia, insegnavano eloquenza ai giovani, recitavano dicerie alla moltitudine nelle pubbliche adunanze, nei teatri, nei giuochi solenni o in alcune case costruite a questo fine, e talvolta ancora parlavano improvviso sopra argomenti che loro erano proposti. In tempo che non v’erano molti libri, nè si poteva leggere le opere nuove, si correva da ogni parte a udire i sofisti, i quali col mezzo della parola acquistavano fama, autorità, onori e ricchezze, erano provvisionati dalle città per insegnare ai giovani le lettere e la filosofia, erano consultati nei pubblici bisogni, andavano ambasciatori ai principi o alle città, e spesso ancora ebbero province a governare.
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