Da questa libertà pienissima, e dall’amore che egli ha alla bellezza, nasce quella sua serenità, quel suo riso, quella sua spensierata lietezza che niente mai può turbare; e quella tanta cura e diligenza che egli pone nell’arte e nella forma. Per noi il contrasto è profondo, e chi non crede, sente l’amara disperazione nel cuore, e non ride: per lui è superficiale; e la bellezza lo concilia facilmente, e glielo rende piacevole. Per noi la bellezza è cosa fuggevole: per lui è il solo bene, il solo vero, la sola realtà che esista nel mondo, e cerca di goderne abbandonandosi tutto a lei, ed ha pietà di chi la sconosce e non la gode, e cerca il bene altrove. Il suo sapere è comune, non esce della vita; ma il buon senso gli fa scernere e disprezzare gli errori comuni: cosicchè egli esprime ciò che è di vero nel sapere comune, ciò che tutti sentono; onde tutti lo intendono facilmente, riconoscono in lui i pensieri ed i sentimenti loro, si accordano con lui, e gli prendono amore. A questo sapere comune e volgare egli aggiunge l’arte che è tutta sua, e che abbellisce quel sapere e lo rende eletto e nuovo: onde in lui è a cercare e considerare specialmente l’arte, che fu sua propria, essendo che il resto appartiene al suo secolo.
XXVIII. Nel quale, come ho detto innanzi, lo scetticismo era la dottrina, il sentimento e la pratica più generale: e Luciano fu scettico non pure perchè visse in quel secolo, ma per un’altra cagione particolare, per la professione di retore che egli esercitò. Il retore più di tutti non credeva a nulla: facendo professione di sostenere il vero ed il falso, il torto e il diritto, di biasimare e di lodare la stessa cosa, di vendere insomma la sua parola a chi volesse comperarla, doveva farsi giuoco di ogni cosa, rimaner libero e scevro da ogni passione, e dentro di sè non avere altra idea ed altro fine che il proprio interesse: e se per bontà di natura aveva qualche senso per la bellezza e vagheggiava l’arte, quel senso sottostava a quell’idea, e l’arte era indirizzata a quello scopo.
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Luciano
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