In parecchi scrittori greci troviamo spesso ripetuto che la rettorica si apprendeva per acquistar potere e ricchezze: Aristofane nelle Nuvole la mostra come una trappoleria e un cattivo giuoco per ingannar la giustizia: e Luciano stesso nel Sogno, volendo confortare i giovani suoi cittadini a studiarla, non sa trovare migliore argomento che l’interesse, e parlando al loro senso, dice in modo facile e compagnesco: Mirate me: io ero un povero giovanotto che per buscar pane fui messo all’arte della scoltura; ed io lasciai quell’arte meschina, e mi diedi alla rettorica, la quale vedete come mi fa tornare in patria, con che fama, con che onore, con che ricchezze, con questo bel robone indosso, e divenuto altro che scultore. Il retore adunque era sozzamente e bassamente scettico: e Luciano benchè retore, pure essendo nato artista, si sollevò di quella sozzura, sentì un altro Dio presente ed immanente in lui, e rimanendo scettico adorò la bellezza. Benchè dalla rettorica avesse avuto assai di quello che essa poteva dargli, cioè ricchezze e fama, pure egli non potè contentarsi, la dipinse come donna impudica e sfacciata, la lasciò per verecondia, e cercò qualche cosa più composta e ornata e vera.
XXIX. Nelle scuole di rettorica gli esempi della più alta eloquenza che si proponeva ai giovani erano specialmente due, Demostene e Platone: ed entrambi si studiavano per la forma. È naturale che un retore dovesse pregiare Platone più di tutti i filosofi, come il più eloquente, ed avente quei pregi che egli poteva meglio intendere: perocchè il nudo rigore delle dottrine di Aristotele, l’ispida dialettica degli stoici, la volgarità dei cinici, e l’epicureismo tutto sperimentale, non potevano gran fatto piacere ad uno educato nelle opere del bello.
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