Ed è naturale ancora che un retore di qualche ingegno volesse penetrare più dentro della forma nelle opere del filosofo, e considerare anche la materia. Ora questo appunto potè avvenire a Luciano, che da giovane doveva avere Platone in grandissimo concetto, come si vede nel Nigrino, opera piena di fede e di affetto giovanile, e come si scorge chiaro in molte sue opere, dove, sia per celia, sia davvero, riferisce assai spesso le sentenze di quel filosofo, dal quale tolse molta vena di atticismo, e la forma del dialogo. Spiaciutagli la vana ed interessata rettorica, attese alla filosofia, alla quale io penso che ei si diede allettato dalle opere di Platone; ma non fu e non poteva essere filosofo per la natura del suo intelletto, ed il lungo abito della vita. Ogni dottrina filosofica vuol essere intesa tutta ed intera per conoscere la verità che essa contiene: le sentenze e le parole in ognuna hanno un senso particolare; e fuori di essa, intese volgarmente, non hanno senso e paiono strane e ridicole. Però una mente non atta ed usata a profonde meditazioni, a qualunque dottrina filosofica si volgerà, ne rimarrà sempre fuori, non giungerà mai alla verità che sta molto dentro, sarà colpita dall’apparente stranezza delle formole, e disprezzerà la scienza come cosa ridicola ed assurda. Luciano, facile, leggiero, voltabile e poeta aveva coltivata specialmente l’immaginazione, s’era educato e nutrito nelle splendidezze dei poeti e degli oratori, era il rovescio d’un intelletto filosofico.
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