È a cercarne adunque una ragione più alta e generale. Il popolo romano ed il greco quando si unirono e mescolarono insieme, ciascuno diede all’altro ciò che esso aveva di particolare, e in che esso valeva. Il cittadino romano aveva il suo diritto come persona, il suo valore giuridico, del quale egli era superbo, perchè da esso gli veniva il sentimento della sua libertà, e della maggioranza e potenza sopra gli altri: ma questo diritto, che fu cagione di molti beni, quando dal cittadino passò e si personificò nell’imperatore, fu cagione di gravi mali e di servitù intollerabile. L’uomo greco non aveva questo valore, e lo acquistò dal romano, e ne sentiva i beni, mentre il romano allora ne sentiva i mali e se ne doleva. I Greci che da molto tempo avevano perduta la dolce libertà e la nazionale independenza, e per più secoli avevano sperimentati i mali delle discordie civili e della servitù forestiera, si acchetarono sotto il giogo romano, perchè acquistarono un bene non avuto mai, che li compensò in parte di quelli perduti irreparabilmente, acquistarono diritti di cittadini romani, valore giuridico individuale. Però essi non abborrivano l’ordinamento politico dell’impero, ma vi trovavano il loro comodo, vi prendevano parte, vi esercitavano uffizi, lodavano l’imperatore con lodi sentite, che per essi non erano sì basse adulazioni, come pareva ai Romani. È stato detto con verità che spesso il tiranno di Roma era il benefattore delle province: e sappiamo che mentre Commodo uccideva i più illustri patrizi di Roma, in suo nome si facevano leggi che portavano nelle province sicurezza e prosperità. Così accadde ancora pel sapere.
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