I Greci che avevano levate le arti e le scienze ad un’altezza mirabile, le diedero ai Romani quando erano già scadute e guaste: ed i Romani ebbero il secol d’oro della loro coltura tra il fine della repubblica e il principio dell’impero, mentre allora i Greci stanchi e spossati non sapevano trovare novelle verità nella scienza, e novelle bellezze nell’arte. Quello che ai Romani era nuovo e piaceva, ai Greci era vieto e noiava. Mentre i Romani dicevano: Grajis ingenium, Grajis dedit ore rotundo Musa loqui, i Greci sentivano che la lode era un’adulazione, perchè gl’ingegni grandi mancavano, e dalle bocche non piovevano più le parole come neve invernale. E mentre gli scrittori romani erano tanto celebratidai loro, e parevano dire alte cose e nuove, dai Greci non erano pregiati, erano tenuti imitatori, e poco felici, e non furono mai nominati da alcuno scrittore greco. Insomma come il Greco si sentiva inferiore al Romano pel diritto, così il Romano si sentiva inferiore al Greco pel sapere: e come il Romano rispettava il Greco pel sapere, così il Greco non poteva biasimare il Romano per la politica. Però Luciano non fece e non poteva fare la satira politica del mondo romano: egli non si sentiva superiore a quel diritto e a quel politico ordinamento, anzi, come greco, ne riconosceva i vantaggi; e, come onesto uomo, vi prese parte, ed ebbe l’uffizio di Procuratore in Egitto, dove sovraintendeva ai giudizi ed interpetrava le leggi ed i decreti del principe. Soggetto ad un’idea non ad un uomo, egli non servì in corte, ma ebbe un uffizio pubblico: disprezzò certamente ed abborrì quegli scellerati che sedevano sul trono romano, ma perchè in quelli era l’imperatore, fonte del diritto, egli non poteva farne la satira.
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