E forse si può concedere che nell’Ermotimo ei volle la baia di Marco Aurelio, ma come di un filosofo, non mai dell’imperatore. La satira del mondo romano fu fatta da altri uomini che si sentivano superiori all’idea romana, e furono i Padri della Chiesa, i quali senza toccare la forma dell’impero e la persona dell’imperatore, attaccarono i principii, e si risero del borioso diritto di cittadino. E forse la satira più amara fu fatta da quelli che fondavano le repubbliche monastiche senza proprietà, senza libertà, senza diritto alcuno, e rovesci della gran repubblica romana.
Per queste ragioni a me pare che Luciano non toccò la satira politica, la quale avrebbe colpito principalmente i Romani. Egli si tenne nel mondo greco: e ne potè ridere anche perchè l’impero era retto da buoni principi e miti. Quando i mali pubblici sono grandi, chi non ne è tocco, può tacere sì, ridere non mai, se egli non è un vile che vuole insultare chi soffre, e dividere l’infamia con chi fa soffrire. Il riso piacevole di Luciano non può venire che da un’anima tranquilla, secura e vivente in tempi senza violenza.
XXXII. Il mondo greco comprendeva la religione, la filosofia e l’arte. Questo mondo già si apriva e si diffondeva in uno più vasto, nel quale una religione novella non si legava all’interesse di una sola città, di una sola schiatta, di un solo popolo, ma penetrava nell’umanità tuttaquanta. Luciano non conobbe il cristianesimo, che allora era una setta con dogmi non ancora fermi, non iscevra di superstizioni, professata da gente di piccolo affare; ed egli coi maggiori uomini del suo secolo appena la guardò, e non volle curarsene: e perchè non la conobbe, ei non la derise affatto.
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