Il concetto del Goethe, del Byron, e del Leopardi, mentre è profondo e fieramente terribile, si dilarga ed abbraccia tutta la vita e l’universo; è il concettoDell’infinita vanità del tutto,
in cui non vedesi altro di piacevole che l’arte, la quale è anch’essa una vanità, come la rosa che Margherita si piace a sfrondare: onde essi non hanno che un lieve sorriso su le labbra e l’amarezza nell’anima. I due primi trasmodano dalla forma ordinaria; la quale trasmodanza essendo necessaria alla natura del loro concetto ed in accordo con esso, è cagione di una bellezza nuova e terribile. Il Leopardi nella forma non trasmoda; è meno ardito perchè si sente meno libero, e non avendo alcun conforto alla vita dolorosa, si appiglia più all’arte come alla cosa meno vana che esista nell’universo. Il concetto di Luciano così compiuto per i tempi suoi e così popolare, così sicuro, e pieno di tanta gaiezza e lucentezza di arte, non è più possibile nei tempi nostri, e a noi pare superficiale: perocchè la ragione è penetrata assai a dentro nelle cose, da tutti si sente che sotto la bellezza ci è una verità trista, un contrasto eterno ed invincibile; e gli uomini non si trovano più in quella condizione di tempi tra un vecchio mondo che doveva cadere, ed un nuovo che sorgeva.
XXXIV. Il concetto che Luciano ci presenta della filosofia, è espresso e personificato nel suo Menippo. Io non so se questo personaggio fu reale o è immaginario, nè importa saperlo: il certo è che Luciano ci presenta in lui un tipo del sapere volgare, uno già filosofo cinico, cioè della setta più plebea, poi non più filosofo in nessuno modo, ma un libero e piacevole vecchio che ride sempre, e motteggia questi vanitosi filosofi.
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