Nel libretto che s’intitola Come si deve scrivere la storia, il quale è una satira di quella turba di sciagurati storici che apparvero nel suo tempo, di cui egli per istrazio riferisce i nomi e le sciocchezze più notevoli, espone l’idea che egli ha della storia, e addita come ottimo esempio e legge Tucidide, di cui si piace di annoverare i pregi. Parrebbe che Luciano come artista e poeta dovesse inclinare piuttosto ad Erodoto o a Senofonte, ma egli non crede perfetto se non Tucidide, intelletto severo e tanto diverso dal suo. Nella quale opinione egli mostra il suo buon giudizio, e si oppone a quella di Dionigi d’Alicarnasso, retore famoso e storico mediocre, che scrisse tanti biasimi di Tucidide, sino ad appuntarlo di non sapere la lingua. L’opinione di Dionigi piacque ad un secolo molle ed infingardo, quella di Luciano è stata confermata dal generale consenso dei posteri. Il modo onde i Greci scrivevano la storia è diverso per molte cagioni dal modo onde la scriviam noi: ma la buona storia fu e sarà sempre una, non opera interamente d’arte, come volevano alcuni, nè interamente fuori dell’arte, come vogliono altri: e l’idea che Luciano ne aveva in mente sta in mezzo a queste due opinioni, ed è così giusta che parrebbe ragionevole ai tempi nostri, e fa maraviglia pei tempi suoi. L’idea che egli aveva del buon retore e in generale del buono e semplice scrittore, la troviamo appena accennata nel Precettore dei retori e nel Lessifane; due satire, una contro un tristo ignorante che si spacciava maestro d’eloquenza; l’altra contro una sciocco che infilzava parole viete e strane per significare sciocchezze nuove.
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