XL. OPERE SERIE. Dicerie, proslaliai, adlocutiones. La prima tra le opere che si legge è il Sogno, discorso che Luciano recitò in patria quando vi ritornò retore già famoso.(15) È piena di leggiadrie e di motti, ma senza satira, perchè parla ai suoi cittadini, cui vuole essere utile con l’insegnamento e con l’esempio, vuole piacere con lo stile grazioso e forbito, e vuole mostrarsi con un certo sfoggio di eloquenza, come nel sogno parevagli di pompeggiare nel robone di porpora. E forse fu accorgimento il ricordare così schiettamente a quelli che lo conoscevano la prima e povera sua giovanezza per fuggire l’invidia e la maldicenza paesana: e fu franchezza il dire piacevolmente che lo zio passava pel più bravo scarpellatore, e il più valente a fare i Mercurii che si mettono agli usci delle case, non già scultore e statuario, come altri ha interpretato. Ei non istà sul serio, non piglia il tuono arrogante di sofista, non parla di cose astruse alla conoscenza e lontane dalla speranza dei giovani, ma ridendo e motteggiando sè stesso parla all’intelligenza, alla fantasia, all’affetto, al senso; e questo parlare che investiva tutto l’uomo doveva essere necessariamente efficace.
Sono anche dicerie l’Erodoto, il Zeusi, l’Armonide, lo Scita, i Dipsi, inferiori di bellezza al Sogno, ma anteriori per tempo, e scritte forse quando Luciano era giovane, e andava per la Macedonia. Non affermerei certo che sono genuine, ma non mi bastano poche parolette ineleganti, che i dotti vi notano, per affermare che sieno apocrife; perocchè queste ineleganze hanno potuto scorrervi per imperizia dell’autore non ancora fatto, o dei copisti.
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