Questa sconvenienza fa credere a molti che esse non sieno di Luciano; ma se si attribuiscono a lui giovane, si può ammirare la finzione per sè stessa, e separata dal soggetto: come per esempio quanta freschezza e leggiadria non è in quei due quadri della Centaura, e di Rossane? La maniera che in tutte è la stessa, mi fa credere che tutte sieno dello stesso autore. Queste dicerie erano recitate a scelto numero di ascoltatori, ed alcune di esse potevano essere prolusioni, cui seguitavano altri discorsi che esponevano precetti di eloquenza. Oggi in Inghilterra alcuni professori di scienze e di arti, e i colti esuli che vanno ivi a cercare libertà e mezzi da vivere, sogliono recitare innanzi ad elette persone certi discorsi che chiamansi lectures, nei quali danno saggio del loro sapere. Simili a queste lezioni mi paiono le dicerie dei Greci: se non che le lezioni sono intorno a materie utili come vuole il secolo, e le dicerie erano vuote dentro, non altro che belle chiacchiere per buscar pane.
XLI. Diverse da queste dicerie sono le declamazioni, meletai. Chi ricorda che gli antichi distinguevano tre generi d’eloquenza, il giudiziale, il deliberativo, e il dimostrativo, scorgerà subito che il Tirannicida e il Diredato appartengono al primo genere, i due Falaridi al secondo, ed il Bagno, la Sala, e la Patria al terzo. Sono esercizi di scuola, e nel loro genere non mancano di certo pregio, massime il Bagno, che è la più semplice modesta ed utile per le notizie che contiene: ma dentro non hanno niente che possa farle pregiare per sè stesse, o crederle scritte da un ingegno non comune.
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