Pare che questi sia uno dei due fratelli Quintilii, celebri per il loro amore fraterno, e per le loro virtù, i quali furono insieme fatti consoli da Antonino, insieme nominati governatori della Grecia da Marco Aurelio, insieme uccisi da Commodo. (V. la Storia del Gibbon, cap. 4.) Il far menzione di un sogno (dice Gio. Clerico, Bibl. ant. e mod., t. XXII, p. 226) è argomento che questo libro non è opera di Luciano, ma sì di Aristide, del quale si conosce la superstizione. I primi periodi sono così ravviluppati e confusi che lo scrittore non sa egli stesso quel che si dica, e pare un melenso. Chi messe questo scritto fra le opere di Luciano, certamente lo credette utile per le notizie che contiene di molti uomini illustri; ma come si può stare a queste notizie se vengono da un melenso e di poco giudizio?
XLVII. Tra gli argomenti serii la bellezza di una donna, e la vita e la morte del più grande oratore potevano bene trattarsi in una forma artistica.
Che Luciano avesse potuto lodare ed anche adulare una bella donna amata da un imperatore romano, si può concedere; ma che egli abbia scritte le profuse e stemperate lodi che si leggono nei due dialoghi delle Immagini, a me pare impossibile, perchè ripugna alla natura del suo ingegno, ed al suo gusto nell’arte. Non è possibile che un uomo che suole ridere di tutte le cose divine ed umane, diventi a un tratto sì caldo ammiratore d’una donna, e lodandola non rida mai, non piacevoleggi mai, non dico già di lei, ma delle tante persone e cose che gli si presentano alla mente mentre parla di lei, non mostri neppure una favilla del suo fuoco, e paia un altro uomo diverso: non si può mentire fino a tanto la propria natura, la quale non cangia così neppure per amore di donna.
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