Quella Smirnese poi che lo scrittore si sforza di mostrare bella, raccogliendo nel farne il ritratto quanto di bello egli conosceva nelle statue, nelle dipinture, nel sapere, e nel valore degli uomini e delle donne illustri, non è bella punto, e pare quell’Elena che fu dipinta da uno scolarello di pittura, il quale non sapendo farla bella, la fece ricca di vesti e di gemme. Luciano, gran maestro dell’arte, sapeva bene come Elena fu dipinta da Omero in due parole messe in bocca ai vecchioni su la torre d’Ilio. Le Immagini, come ben dice il Weise, sono una scrittura ostentatoria, assai lontana dalla vera arte e dalla sobrietà di Luciano. Vi trovi bassezza di animo, intemperanza d’ingegno, e una maniera che conviene solamente alla cortigiana di Lucio Vero: ornamenti meretricii, non bellezze di arte.
XLVIII. L’Encomio di Demostene fra tutte le altre opere è la sola che faccia palpitare il cuore ed abbia una bellezza di sentimento: ma il sentimento non si accorda con l’arte. Leggendo da prima trovi un informe affastellamento di cose; non sai perchè Omero è unito a Demostene; ti spiacciono i concetti forzati, le immagini volgari, lo stile scuro, lungaggini senza ragione, molta falsa rettorica: sicchè fa proprio pietà vedere il massimo degli oratori venuto a mano d’un povero retore. Ma questo povero retore aveva un gran cuore, e quando dipinge Demostene che muore spregiando le minacce e le promesse dei tiranni della sua patria, quando pone in bocca ad essi tiranni l’elogio dell’ultimo cittadino d’Atene, ci fa dimenticare le sue imperfezioni nell’arte: allora il concetto vince la forma, non è offeso nè menomato dalla rozzezza o scarsezza di questa; allora non ci apparisce altro che la grande immagine di Demostene, e siamo costretti a venerarla.
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