Dopo questo racconto naturalissimo e conveniente, viene la trista cacciata; ed infine, invece di epilogo, la descrizione di un quadro che rappresenta tutta la vita del mercenario. Ma se Luciano è costretto a parlare di ciò che tanto gli duole, e biasimare i suoi Greci, ei non risparmia neppure i romani signori, e ne svela le turpitudini, e ne ride. Questo scritto di concetto sì nobile, e di forma sì compiuta per ordine ed integrità di pensieri, per lucidezza di stile, per vivezza d’immagini, e per purità di lingua, è certamente di Luciano. Nondimeno il Weise crede che gli ultimi capitoli, propriamente cominciando da quello in cui si narra il caso di Tesmopoli, non sono bene composti come i precedenti, e forse sono stati aggiunti più tardi da altri. Secondo il concetto che io mi ho formato dell’ingegno e della natura di Luciano, a me pare che quei capitoli sieno composti benissimo; anzi in essi, che sono più pittoreschi e piacevoli degli altri, io riconosco la sua natura lieta e satirica, la sua arte che dipinge sempre, la sua maniera nel raccontare spesso aneddoti, il suo costume di mordere come può i filosofi del suo tempo. E se sono aggiunti, come e dove finiva lo scritto? era esso monco? fu lasciato così imperfetto da Luciano, o questa ultima parte andò perduta, e poi fu rifatta? Formatemi l’uomo, formatemi Luciano su le sue opere; non considerate queste opere riguardando ad un uomo che voi vi avete figurato nella mente, e che non è Luciano. La buona critica sa trovare i principii nelle opere stesse, non li cerca fuori di quelle.
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