Luciano si ride non pure delle favole raccontate dagli storici e dai viaggiatori, ma anche delle invenzioni poetiche di Omero. Noi sappiamo come lui che quelle sono invenzioni, ma sono invenzioni viventi, credute e sentite dal poeta che le fa sentire e credere anche a noi, mentre ce le racconta: e perchè sentite sono vere e belle; mentre queste fantasie di Luciano da lui stesso non sentite nè credute, ci riescono fredde. Non valgono motti, leggiadrie, eleganze a farle vive: vi bisogna qualcosa che qui non è, che esca del cuore, dov’è la fonte vera di tutte le ispirazioni e di ogni poesia. Però questo poetare tutto fantastico doveva necessariamente o cessare o unirsi a qualche sentimento: ed essendo già spenti i sentimenti nobili, si appigliò all’amore sensuale, solo che esistesse potente in secolo corrotto. Così nacquero i tanti racconti erotici che cominciano ad apparire in questo secolo, e sono tanto comuni nei secoli che seguirono.
LII. Il Precettore dei retori è una fiera satira contro un retore che forse è Giunio Polluce, autore dell’Onomastico, sebbene l’Hemsterusio che ha tradotto e comentato l’Onomastico creda di no. Gli odi che nascono da gelosia di mestiere sono implacabili, e spesso ingiusti e feroci. Luciano finge di rispondere ad un giovane che gli chiede un consiglio per apprendere la rettorica; e gli dice che ella sta sovra un alto monte, e ci sono due vie per salire a lei; l’una faticosa, aspra, lunga, nella quale si vedono poche orme grandi, ma quasi scancellate dal tempo; l’altra facile, piana, breve, nella quale ti condurrà un amabil maestro.
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